Cento vite scomode chiamate Tabucchi

In memoria di uno scrittore amico, che ci ha lasciato il 25 marzo di quest’anno. Antonio Tabucchi che raccontava a voce le storie più incredibili e belle, che magari qualche tempo dopo uno ritrovava in un suo libro; Tabucchi che nell’ultimo anno voleva scrivere un romanzo di sms sull’Italia; Tabucchi che pensava a un libro sugli ultimi giorni di Walter Benjamin; Tabucchi che viaggiava come in un perenne trasloco («ho vissuto in molti altrove»); Tabucchi che nessuno sapeva mai dov’era ? Parigi Lisbona Vecchiano ? poi all’improvviso, a qualunque ora, telefonava; Tabucchi con l’altalena dei suoi stati d’animo, con l’ingordigia di sigarette, con la passione per lo champagne; Tabucchi che sapeva essere un maestro come gli antichi maestri di bottega, ruvido a volte ma sempre generoso.Parlano di lui e lo ricordano degli scrittori di generazioni diverse che l’hanno conosciuto, frequentato, ascoltato, in un libro intitolato Una giornata con Tabucchi (ed. Cavallo di ferro). Sono Dacia Maraini, Paolo Di Paolo, Ugo Riccarelli e Romana Petri, ma nel libro c’è anche una lunga intervista realizzata da Carlos Gumpert per Dedica, Pordenone 2001.Il senso del titolo si spiega leggendo un passo dello scritto di Paolo Di Paolo: «Una giornata con Tabucchi era anche la giornata “di” Tabucchi: spiazzante, carica di sorprese, sull’altalena dei suoi stati d’animo». Di questo Tabucchi privato parlano un po’ tutti: delle sue «risate contagiose» (Maraini), della sua «affabilità contagiosa» e delle sue «tempeste violente di malinconia» (Di Paolo), dei suoi «malumori», dei suoi «sorrisi» (Riccarelli). Romana Petri, dopo aver letto Donna di Porto Pim, gli scrive per chiedere un itinerario di viaggio e scopre Lisbona e le Azzorre. Sempre lei ricorda il primo incontro (1992), il viaggio in treno a Firenze, la coincidenza per Pisa, e poi il ritorno con lo scrittore che la riporta in macchina a Firenze. E qui, nella sala d’attesa della stazione, comincia a scrivere un racconto in cui vero e romanzesco si confondono, per colpa di un personaggio, Isabel, conosciuto sui libri di Tabucchi, e che ora prende nuova vita. L’incontro fra Dacia Maraini e Tabucchi risale agli anni di quando lui insegnava a Siena. Abitava a Firenze in una casa che guardava sul Cimitero degli inglesi (quello dov’è sepolta Elizabeth Barrett Browning e che per molti ha ispirato «L’isola dei morti» di Arnold Böcklin). In quegli anni, a Firenze, scoppia la polemica sui rom, relegati in campi senz’acqua né luce, costretti a una vita subumana e a rendersi invisibili in una città che vive di turismo e di moda. Con il pamphlet Gli zingari e il Rinascimento Tabucchi inaugura la sua stagione di interventi politici, di intellettuale scomodo che non si accontenta di chiamare i pompieri se vede un incendio (in polemica con Umberto Eco scrive La gastrite di Platone, 1998). Paolo Di Paolo ricorda, nel suo testo, il decennio successivo, quando interviene contro i governi Berlusconi e scrive lettere aperte al Presidente della Repubblica perché non metta la sua firma sulle leggi del Cavaliere. Articoli che comparivano sui giornali stranieri, «El País» e «Le Monde», ma creavano problemi in Italia. «Più di un articolo su temi politici gli ha fruttato guai, anche seri. (…) Coltivava ? e gli venivano contraccambiate ? colossali antipatie, pregiudizi da estremista buono, convinzioni testarde che era difficile, forse impossibile, modificare. Stefano Benni l’ha chiamato “moschettiere”, è una definizione perfetta».Ma più che il Tabucchi politico (a cui è stato dedicato un numero di «Micromega») qui c’è lo scrittore che sa che le storie non si concludono mai, che alle domande seguono altre domande, che viaggiare è un po’ perdersi, che le persone care che se ne sono andate possono a volte riapparire. Tutti gli scrittori di questo libro avrebbero voluto che lui ci raccontasse molto di più della sua vita poco conosciuta, per intendersi quella di prima del successo mondiale (Pereira naturalmente), di cui a volta lasciava indovinare piccoli sprazzi, come le gite in treno a Firenze con lo zio per vedere i grandi musei, le spiagge della Versilia quando c’erano le donne che vendevano i bomboloni, il primo lungo soggiorno in Portogallo. Pudore, il rifiuto di mettere la vita in ordine alfabetico, forse. Ma qui conta soprattutto quella cifra che è solo di Tabucchi, la malinconia, la nostalgia per un qualcosa che non viene detto («ti ricordi com’era bella l’Italia?») e che diventa il motivo insistente di una dolce, straziata inquietudine. Con la consapevolezza che nel tempo che ci è dato, si sta facendo sempre più tardi.