La vita ricucita

Non è facile convivere con il dolore,  abituarsia esso, ad una condizione che ci priva della piena  funzionalità del nostro essere. Non è facile  accettare di scivolare nella nebulosa dimensione della malattia.  Rimanere intrappolati nel rarefatto limbo del tempo, dell’  attesa, in cui si spera che la guarigione arrivi presto  riportando ordine al caos, regolarità laddove v’ era  anomalia. Soprattutto non è facile superare lo  sgretolamento di un’ illusoria certezza che dalla ragione, dalla  nostra res cogitans, possa dipendere l’ intero controllo di ogni  singola componente del nostro organismo, che a questo controllo  nulla debba sfuggire, nulla debba degenerarsi, pelle, ossa,  viscere, carne. La condizione del malato, l’ in e s o r a b i l e  d i s c e s a , s p e s s o inaccettabile, verso l’  infermità, fanno riemergere paure ancestrali, domande che  scuotono e impongono una seria riflessione sul senso della vita,  sulla precarietà dell’ essere, sul concetto di salute.  Sono questi gli interrogativi che si pone Ugo Riccarelli e tanti  altri uomini e donne che come lui hanno vissuto la drammatica  esperienza del trapianto di organi. Nel libro Ricucire la vita  (Piemme) Riccarelli ritorna ad affrontare il tema del trapianto,  argomento precedentemente sviluppato nell’ emozionante romanzo  autobiografico Le scarpe appese al cuore, e lo fa per “donare”  una speranza. Ecco perché, nonostante questo libro non  avesse voluto scriverlo, come afferma sin dalla prima pagina,  decide infine di ripercorrere un sentiero che sembrava esser  stato definitivamente attraversato, da cui riemergono come da un  pozzo quelle oscure sensazioni che avevano caratterizzato la sua  sofferenza. Oggi a Palermo esiste un centro che offre ai pazienti  una possibilità di salvezza, senza più dover  ricorrere ai drammatici viaggi della speranza per ottenere un  cuore, un fegato, dei reni, dei polmoni, un pancreas. L’ Imett  (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta  specializzazione) è attualmente una delle più  importanti strutture italiane che si occupano di trapianti e di  ricerca, sia in ambito biotecnologico che biomedico. La storia di  questo istituto ha inizio nel 1999 e a ripercorrerla, tappa dopo  tappa, è proprio Ugo Riccarelli. Il suo libro è  molto più che un reportage: Ricucire la vita è  infatti una scrupolosa raccolta di testimonianze, un’ indagine  minuziosa che, andando a ritroso nel tempo, analizza l’ origine  stessa del trapianto. Ma è anche un quaderno di appunti in  cui il vissuto dell’ autore si mescola con quello degli altri  pazienti e con la genesi dell’ Imett, nato come progetto di  sperimentazione gestionale grazie a una partnership tra la  Regione siciliana, gli ospedali palermitani Civico e Cervello e  il Medical Center dell’ Università di Pittsburgh.  «Man mano che entravo in contatto con l’ Ismett – scrive  Riccarelli – iniziavo a conoscere una storia che doppiamente mi  coinvolgeva come paziente e come cittadino. Conoscevo una  struttura nata a Palermo con un’ università americana.  Già questa era una doppia stranezza. Un polo d’  avanguardia nel quale, cominciavo a intuire, si parlava un  linguaggio comprensibile, civile, ottimo sia per il paziente sia  per il cittadino poiché produceva efficienza senza perdere  di vista le persone». È questo un passaggio  cruciale. «Non perdere di vista le persone» è  per un ospedale uno degli aspetti più importanti e allo  stesso tempo più difficili da sviluppare, poiché il  malato si trova spesso, e contro la propria volontà, in  una condizione di dipendenza, di imbarazzante “sottomissione”.  Diventa dunque necessario sviluppare dinamiche virtuose in cui la  relazione tra operatori sanitari e paziente sia la migliore  possibile e inneschi un processo di scambio armonico e  bilaterale, affinché insieme alle competenze non manchi  uno dei presupposti fondamentali, l’ umanità. Non basta  scandagliare un corpo, conoscerne a fondo l’ anatomia, saperne  curare le patologie, è necessario innanzitutto comprendere  l’ altro, nella sua diversità e soprattutto non  oggettivarlo in una serie di sintomi e medicine. Come rimarca l’  autore, conoscere i vissuti dei pazienti è uno strumento  per comprenderli meglio e aiutarli a raggiungere la fine di  quell’ ignoto tunnel in cui la malattia li ha incastrati.  «Guardo ancora una volta la luminosa hall dell’ Ismett –  continua nel suo racconto Riccarelli – e ancora mi colpisce il  senso di accoglienza che questo edificio trasmette sin dall’  entrata. È un’ impressione, direi fondamentale per un  luogo nel quale i suoi ospiti arrivano con il loro carico di  dolore (…). Io credo che ogni istituzione, in fondo, esprima  uno “spirito”, un clima che si respira immediatamente al primo  impatto, che trapela dal modo di porsi delle persone che la  compongono, nessun ruolo escluso, che trasuda dall’ ambiente, dal  suo disegno persino dal suo odore. Ebbene, l’ impressione che si  prova girando per l’ Ismett è quella di uno spirito “di  gruppo”». Questo descritto dall’ autore per Bruno Gridelli,  direttore dell’ Ismett, e la sua équipe sanitaria e  tecnica, è un must, la ragione profonda che dà  forza al loro progetto: fornire un’ adeguata assistenza  sanitaria. Non solo. Per il futuro tante nuove frontiere: Ismett  si propone di trovare – grazie a una incessante ricerca nel campo  della rigenerazione cellulare – innovative terapie per il  trapianto, imaging molecolare, sviluppo di vaccini, ricerca di  nuovi farmaci, biologia strutturale e computazionale,  neuroscienze.