Morire per una figlia chiamata Libertà

Quello del romanzo scandito dal succedersi delle generazioni è un modello rinsanguato energicamente dai Cento anni di solitudine di García Márquez. Il ripetersi dei nomi, i tratti caratteriali come motivi ricorrenti, i molti anticipi dell’ avvenire o le riprese del passato sono alcuni dei procedimenti subito accolti con entusiasmo dai nuovi narratori.     Anche Ugo Riccarelli (Il dolore perfetto, Mondadori, pp. 328, euro 17,60), qui alla sua prova più impegnativa, è sensibile al precedente: basterebbe pensare al profumo di viole che circonda il parto dei gemelli Sole e Annina, e riappare in momenti chiave della loro vita: anche in García Márquez molti personaggi sono preceduti da un profumo particolare, che persiste anche dopo. Nel nostro romanzo i nomi dei personaggi si ripetono attraverso il tempo, caratterizzando due gruppi familiari: quello più benestante e attaccato alle cose, che preferisce nomi omerici, o in genere epici, come Ulisse e Achille, Elena e Nestore; quello più idealista e povero, che ricorre a concetti personificati, come Libertà o Ideale, oppure a cognomi di rivoluzionari fatti nomi, come Cafiero.     Il romanzo, si noti, è ambientato in una Toscana di tradizioni anarchiche, e il primo personaggio che ci si presenta, “il Maestro”, anarchico appunto, morirà a Milano durante una sommossa contro il carovita. Stava urlando il nome della figlia, Libertà, ma il grido parve eversivo al soldato di Bava Beccaris che gli sparò a bruciapelo.     La storia delle generazioni (con una cronologia che va dai moti di Carlo Pisacane all’ ultimo dopoguerra) si sarebbe giovata di un maggiore approfondimento: gl’ ideali rivoluzionari sono enunciati in modo un po’ schematico, i cambiamenti del paesaggio (costruzione di una linea ferroviaria, bonifiche fasciste di una palude, espansione edilizia) sono appena accennati; per contro, il quasi conclusivo rastrellamento tedesco ha toni tragici e veri. Il trascorrere del tempo ha del resto la sua rappresentazione più originale nella costruzione da parte di Ideale, genio ingenuo, di una mostruosa macchina che dovrebbe realizzare l’ utopia del moto perpetuo. La macchina è una specie di totem, simbolo di operosità disinteressata e di fiducia nell’ avvenire; anche dell’ unità familiare. E svolge un suo ruolo: ospita incontri confidenziali, fa da rifugio a tre disertori dopo l’ 8 settembre, è persino testimone di scene erotiche.      Ma è meglio seguire i fatti del romanzo da vicino, perché Riccarelli dà il suo meglio in un rinnovato “realismo magico”. Si prenda la coppia Ulisse-Rosa. Dopo nozze affrontate con poco o nessun trasporto, la deflorazione si mescolerà, nella mente della donna, con immagini di maiali scannati, i maiali di cui Ulisse fa commercio. E lei avrà sempre l’ impressione che il marito puzzi di maiale. I porci appariranno in vari momenti delle loro vite, orientate, in modo differente, verso la pazzia. Sarà la donna ad apparire a Ulisse con porcellini in braccio mentre i figli giocano, sarà la figlia Annina ad accompagnare il padre al mercato, per assicurarsi che venda gli animali, con i quali ormai è abituato a conversare come fossero amici. Alla fine, dopo aver stuprato una vecchia parente, Ulisse ammazzerà i suoi amati maiali e s’ impiccherà con le viscere di una scrofa. Così il tema suino fa da traccia a tutta una vita matrimoniale.     C’ è un’ attiva osmosi fra triste e giocoso, tragico e grottesco. Domina il comico quando, ricevuto fra le mani il primogenito appena venuto alla luce, Ulisse si mette a declamare versi di Omero su Achille. E vorrebbe appunto chiamare Achille il bambino, quando una familiare, tremebonda, lo avverte che si tratta di una femminuccia.      Anche teneramente comico un episodio che riguarda il gruppo dei personaggi idealisti. Il vecchio prete che va a casa del Maestro per battezzare il neonato, Ideale, e attenuare lo scandalo della sua nascita illegittima, si lascia prendere dalla dolcezza degli affetti, e scorda i suoi doveri di parroco. Solo quand’ è vicino a casa sua si rende conto, e torna indietro per riparare; ma al pensiero di tutto l’ amore che ha trovato in quella famiglia si trattiene, e s’ accontenta di tracciare, dall’ esterno, un segno di benedizione.     C’ è anche un comico di situazione che diventa simbolo di destino, come nel caso di Natalia, innamorata, in modo diverso, dei gemelli Sole e Ideale, che non cessano di volersi bene quando si scoprono rivali involontari. Natalia scrive loro due lettere, l’ una d’ amore, l’ altra di dolce, però deciso distacco, ma confonde le buste. Il caso sconvolge così le scelte più meditate, e rivoluziona l’ avvenire. Ma era un’ alternativa tra due tragedie, dato che Sole verrà ucciso, per un altro equivoco, dai tedeschi, e Ideale si fermerà in Russia, quasi moribondo, durante la ritirata dell’ Armir, formandosi una nuova famiglia tra chi lo salvò.    Comunque, l’ amore è uno dei temi dominanti, specie nelle famiglie degli “idealisti”. Esso non si esprime in parole, ma in una pienezza vitale e in un continuo dono di sé; ce n’ è bisogno, dato che proprio questi personaggi sono vittime di ingiustizie e disgrazie. A un certo punto i superstiti saranno ben pochi. Resterà soltanto la consolazione del ricordo: i luoghi del paese che hanno visto i loro momenti di gioia continuano a presentarsi alle memorie di ognuno; anzi (forse troppe volte) i figli e i mariti morti riappaiono, confortanti. Danno serenità a chi deve sopportare il dolore che invade il libro, il “dolore perfetto” del titolo.